sabato 11 ottobre 2014

Africana puttana: attraverso gli occhi di chi non guarda al sesso ma alla dignità offesa

Venerdì 17 ottobre a Torino viene presentato il progetto fotografico Pipeline, sulla realtà delle migranti inghiottite dalla tratta dello sfruttamento sessuale, a cura di Elena Perlino.


La Perlino (dell’agenzia fotografica Picturetank di Parigi), si occupa da anni di fenomeni migratori e di tratta delle donne  a scopo sessuale. Il suo progetto fotografico condivide con noi una realtà di cui non sappiamo molto e sulle cui tragiche implicazioni i "clienti" , soprattutto, non sempre si interrogano. 
All'incontro torinese, oltre alla fotografa, saranno presenti Francesca Bosco (Unità Crimini Emergenti dell’Unicri, istituto interregionale delle Nazioni Unite); Rosanna Paradiso (presidente di Tampep); l'avv. Emiliana Olivieri (presidente della Fondazione dell’Avvocatura torinese Fulvio Croce) e Laura Onofri di Snoq. Coordina la giornalista Stefanella Campana.


In particolare Pipeline documenta la tratta delle nigeriane in Italia, le ragazze che, per l'80%, arrivano da Benin City, ritratte tra il 2006 e il 2013 nelle città di Torino, Genova, Roma, Napoli e Palermo: tra squallidi cigli di strade provinciali e chiese pentecostali, club nigeriani e volanti e luoghi di detenzione. E interni familiari che trasudano nostalgia, impotenza, povertà.
Secondo l'United Nations Office on Drugs and Crime la Nigeria è tra i primi 8 paesi al mondo per numero di vittime dell'human trafficking. Le ragazze contraggono un debito pesante per uscire dal paese, che devono rimborsare: restano così soggette al ferreo controllo da cui è quasi impossibile affrancarsi.

E difficilmente le lasceranno andare, perché ciascuna è una fonte di redditi a cui il racket non intende rinunciare. Come scrive Giuseppe Carrisi in La fabbrica delle prostitute, “La prostituzione da noi è un business, anzi il business. E nessuno si scandalizza. I giornali locali chiamano la rotta delle schiave sessuali pipeline: oleodotto. E, a ben guardare, non c’è tanta differenza tra le ragazze e il petrolio. Entrambi rendono un sacco di soldi”.
Il primo passo è proprio il distacco dal clan (unico contatto con il mondo e la cultura di provenienza) che, anziché rappresentare un ambito di protezione, è il primo anello della catena di schiavitù. Se riusciranno a fare questo difficile passo, le ragazze e le donne sfruttate saranno aiutate nei successivi da unità di strada, centri d’accoglienza e, a volte, anche dai clienti stessi, che vengono così ad avere un ruolo ambivalente. Se alimentano il mercato sessuale, infatti, e il flusso delle donne nigeriane in Italia, a volte costituiscono una risorsa per le donne stesse, nel faticoso percorso di riscatto dallo sfruttamento. Parliamone dunque, alziamo la coscienza: solo da un cambio di paradigma culturale può giungere una soluzione.
Venerdi 17 ottobre, h. 18, Fondazione dell’Avvocatura Torinese “Fulvio Croce” in via S. Maria 1.

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